Gli scarti alimentari diventano elementi preziosi. E’ questa la sostanza del progetto EcoFood che ha portato negli ultimi 4 anni i ricercatori del Politecnico di Torino, insieme ad aziende importanti (da Ferrero a Lavazza passando per Fontanafredda) a ridisegnare il modo di concepire gli scarti alimentari.
Il progetto, cofinanziato con fondi europei, è costato un tutto circa 7 milioni di euro, ha coinvolto la filiera agroalimentare della regione Piemonte, le Università e gli enti pubblici locali, per capire come reimpiegare in modo efficiente scarti delle nocciole, del cioccolatom del caffé, del riso, del vino. Elementi che per il team di ricercatori tutto sono meno che scarti e che non hanno una vocazione locale ma internazionale.
Una delle applicazioni più interessanti dei residui agroalimentari, però riguarda il packaging dei prodotti: riso e altri alimenti possno rafforzare le confezioni e migliorarne le capacità di conservare i cibi. I ricercaotri hanno provato a produrre etichette alimentari con i derivati del riso.
Lo studio, insomma, dimostra che le aziende non solo possono risparmiare valorizzando gli scarti ma possino anche produrre alimenti a più bassi impatto ambientale. E’ il caso dello Chardonnay prodotto senza anidride solforosa aggiunta bensì con l’aiuto di sostanze ottenute dalla lavorazione dei residui produttivi del vino. Quello dello scarto agroalimentare riutilizzato non è più un tabù ma non è ancora largamente diffuso.
Secondo il CNR che da tempo coordina progetti per il reimpiego intelligente di rifiuti, solo nel periodo 2012.2013 in media per igni ciclo produttivo industriale – a livello mondiale- sono stati prodotti 135 mila tonnellate di scarti dalla lavorazione del pomodoro, 1,5 tonnellate dall’uva e dal vino, 1,9 milioni dalla paglia, o,4 milioni dal riso. Risorse preziose non sempre sfruttate per mancanza di sistemi di recupero adeguati e di soldi.
Per arrivare a un ciclo a impatto ambientale quasi zero, però, la strada è ancora lunga. «Bisogna personalizzare, customizzare l’impianto di riciclo perché non esiste un impianto perfetto. Efficace ed efficiente. Occorre adattarlo al tipo di scarto» ha concluso Debora Fino, esperta di impianti chimici e reimpiego degli scarti nei processi industriali per la produzione di energia nonché docente presso il Dipartimento di Scienza Applicata e Tecnologia del Politecnico torinese. I benefici della ricerca, tuttavia, sono riconosciuti al punto tale che nonostante l’esaurimento dei fondi diverse aziende coinvolte hanno deciso di continuare le sperimentazioni aprendo direttamente il loro portafogli. «Certo – ha sottolineato la professoressa – analizzare e reimpiegare gli scarti ha ancora un costo elevato, ma dobbiamo farlo»