L’inquinamento da arsenico coinvolge non solo la salute pubblica, ma anche quella dei lavoratori. Per questo l’Inail, insieme all’Università di Roma “La Sapienza”, ha realizzato uno studio sull’esposizione occupazionale e nella popolazione in generale ad arsenico inorganico. “Si tratta di uno studio preliminare in vitro sul possibile impiego di alcuni microRNA come biomarcatori molecolari in lavoratori professionalmente esposti ad arsenico inorganico e nella popolazione in generale”, spiega Elena Sturchio, ricercatrice presso il Dipartimento installazioni di produzione e insediamenti antropici dell’Istituto, che con altri colleghi ha partecipato al lavoro, realizzato nel corso del 2012.
“Un biomarcatore è un indicatore di uno stato biologico, normale o patologico, di un particolare organismo – chiarisce la ricercatrice – I microRNA sono piccole molecole di RNA che fanno parte di una grande rete di geni regolatori. Poiché profili di espressione dei microRNA risultano alterati nei tumori umani, è stato evidenziato come tali profili possano avere un valore sia diagnostico che prognostico. In particolare, questo studio ha mostrato un aumento dell’espressione di tre microRNA in risposta al trattamento con arsenico inorganico di cellule Jurkat. Questo avvalora l’importanza di proseguire l’indagine mirata al possibile impiego di selezionati microRNA come biomarcatori nell’esposizione ambientale e occupazionale ad arsenico inorganico”.
Presente in acqua, aria e suolo, come i terreni di origine vulcanica, l’arsenico può trovarsi anche nei pressi di fonderie, raffinerie, centri per la produzione di energia elettrica come centrali a carbone, impianti per la fabbricazione del vetro e altri insediamenti industriali, a causa dell’attività umana. Nel mondo la principale fonte di esposizione ad arsenico inorganico è l’acqua destinata al consumo umano: quella da bere, ma anche quella usata per cucinare o per l’irrigazione di campi. A causa della sua tossicità, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) l’ha inserito tra i dieci elementi di maggior pericolo per la salute pubblica e ha elaborato delle linee guida in cui, tra le altre indicazioni, è previsto che il limite di concentrazione di questa sostanza nelle acque potabili non superi i 10 microgrammi per litro.
Lesioni cutanee, cancro della pelle, danni al sistema nervoso, diabete e malattie cardiovascolari sono alcuni degli effetti sulla salute legati all’esposizione cronica ad arsenico attraverso l’assunzione di acqua contaminata con livelli superiori ai limiti previsti dalla legge per un lungo periodo di tempo. “L’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro – aggiunge Sturchio – basandosi sulle evidenze nell’uomo ha classificato l’arsenico inorganico come cancerogeno di gruppo I. Il meccanismo di cancerogenesi indotto da questa sostanza non è noto, ma vi sono evidenze che l’esposizione può generare radicali liberi e altre specie reattive nei sistemi biologici”.
L’emergenza arsenico, che da anni interessa diverse zone del territorio italiano, in particolare l’area del Viterbese e di altri Comuni del Lazio, ha costretto l’Unione Europea a concedere tre deroghe alla Regione per consentire l’erogazione di acqua destinata al consumo umano con concentrazioni di arsenico superiore ai valori stabiliti per legge, fatta eccezione per alcune categorie sensibili come donne in gravidanza e bambini sotto i tre anni. Per fare fronte all’emergenza, in alcuni Comuni interessati sono in fase di realizzazione impianti di trattamento e dearsenificazione dell’acqua, che l’Oms indica tra gli strumenti di prevenzione e controllo dei livelli di arsenico nell’acqua potabile. Ma il problema non è ancora risolto e lo stato di attenzione e preoccupazione della popolazione resta alto. Circa un mese fa, in seguito alle istanze degli abitanti di alcuni Comuni laziali che chiedevano riduzioni delle bollette nei casi di ordinanze di non potabilità, l’Autorità per l’energia ha avviato un’istruttoria conoscitiva sulla questione che si concluderà tra due mesi.
Come precisato da Elena Sturchio, in alcuni Paesi asiatici, come il Bangladesh, “dove il livello di concentrazione di arsenico nell’acqua è superiore a 50 microgrammi per litro, molti pozzi rurali contaminati sono usati per l’irrigazione delle coltivazioni di riso e ciò comporta un’esposizione cronica della popolazione attraverso la catena alimentare”. Oltre al Bangladesh, altri Paesi del mondo dove la concentrazione supera la soglia critica dei 50 microgrammi per litro sono “Argentina, Cile, Cina, Ungheria, India, Messico, Romania e Taiwan, mentre negli Stati Uniti, come in Ghana, Grecia e Thailandia, i problemi legati alla presenza dell’arsenico sono presenti nelle aree interessate da attività mineraria”.
Fonte: Inail